La rivolta siriana prosegue, silenziosamente e in modo sempre più complesso. Non ci si poteva aspettare altrimenti dal regno degli Assad, così com’è cadenzato da intrighi e lati oscuri. Ieri a Homs, si sono tenuti i funerali dei 19 morti accertati della strage di domenica. Il corteo si è trasformato subito in un nuovo momento di protesta contro il regime. Sono emerse altre violenze e con esse altri morti. La giornata si è chiusa con un bilancio provvisorio di 15 nuove vittime. Alcune fonti parlando di 25 caduti. A Talbiseh, intanto, un gruppo di agenti ha dovuto soccombere di fronte alla rabbia della folla. Tra i poliziotti attaccati, uno è rimasto senza vita sul terreno. È la prima volta che si segnala la perdita di un uomo delle forze di sicurezza. A un mese ormai dal sollevamento della piazza siriana, l’episodio può essere visto come un primo sintomo di debolezza del governo. Del resto l’opinione pubblica non demorde. Nel corso degli ultimi tre giorni, oltre a Homs, anche Damasco è tornata a essere un fronte di protesta. Nel caso della capitale siriana, sono le donne a gestire la rivolta. Almeno è così che appare nelle immagini postate su blog e youtube. Il messaggio dei dimostranti è sempre più ermetico: “Dio, Siria e libertà!” questo è lo slogan che risuona nelle strade. Se fino a poche settimane fa, l’opposizione avrebbe concesso al presidente Assad il beneficio di realizzare le riforme in tempi immediati – nella fattispecie pluralismo politico e abolizione dello stato di emergenza – adesso anche queste stesse iniziative rappresenterebbero inutili placebi. Di fronte ai tentennamenti del rais, l’opposizione risulta esasperata. «La Siria non merita questo governo», ci spiega al telefono un dissidente che ha pagato il suo attivismo con il carcere. «Noi vogliamo una seconda indipendenza». Nessun compromesso con il regime quindi. Dal momento in cui a Dara’a si sono manifestate le prime avvisaglie di protesta, il regime è entrato a gamba tesa, dando ordine alle forze speciali di non avere pietà contro i rivoltosi. Secondo questi ultimi, è Maher el-Assad, fratello del rais, il responsabile degli almeno 200 morti, in queste quattro settimane di rivolta. Proprio Maher è ben visibile in un filmato clandestino mentre assiste imperturbabile alla conta dei morti a Dara’a.
La complessità dello scenario siriano è dovuta però alle notizie che giungono da oltreconfine. Nel fine settimana, ha sollevato polemiche la pubblicazione, da parte del Washington post, dei cablogrammi di Wikileaks in merito ai supposti finanziamenti del governo Usa all’opposizione siriana. Si tratterebbe di fondi neri del valore di 6 milioni di dollari, stanziati negli ultimi cinque anni – sicché ancora durante l’Amministrazione Bush – a sostegno degli avversari di Assad in esilio. L’iniziativa avrebbe permesso il lancio del canale satellitare Badara tv, divenuto estremamente attiva in questi ultimi giorni. Del resto l’impegno dei media verso Damasco è ormai incalzante. Oggi a Roma, si conclude il Festival cinematografico “Cinemondo, uno sguardo al Medio Oriente”, concentrato quasi tutto sulla questione siriana. Merita una segnalazione ulteriore la figura di Ribal el-Assad, cugino del presidente, giovane businessman in esilio a Londra, ma soprattutto fondatore dell’“Organization for democracy and freedom in Syria” e dell’“Arab news network”, canale satellitare che dalla capitale britannica. Nato in Siria 35 anni fa, ma cresciuto all’estero, Ribal fa parte della dissidenza di seconda generazione, contraria al regime, ma appartenente alla stessa famiglia presidenziale. La sua opposizione ha un peso specifico anomalo. Da un lato, può apparire come il frutto della visione di chi vive da troppo tempo lontano dal suo Paese. Dall’altra, proprio perché membro del clan, Ribal el-Assad potrebbe disporre di quelle informazioni sottobanco che gli permettono di attaccare il rais sul suo fianco debole. In tutti i casi, bisogna capire quale sia il legame tra gli Usa, in qualità di finanziatori, e le diverse anime dell’opposizione. Non è chiaro infatti se di quei 6 milioni di fondi ne stiano beneficiando anche i rivoltosi di Damasco, oppure solo i tycoon di Londra.
Pubblicato su Il Riformista del 19 aprile 2011