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Archive for the ‘Infrastrutture’ Category

I timori di un Colpo di Stato in Niger erano cominciati a sorgere già all’inizio dell’anno. Ieri se ne è avuta la realizzazione. Una giunta militare ha fatto breccia nei palazzi del potere della capitale Niamey, spodestando e mettendo agli arresti il Presidente Mamadou Tandja. La guida del Paese è passata temporaneamente a un gruppo di governatori locali con a capo il generale Salou Djibo. Stando alle fonti locali, si sono registrati intensi scontri a fuoco nella capitale, ma non si ha notizia del numero preciso delle vittime coinvolte. La situazione resta al momento tesa, sebbene il Consiglio del governo provvisorio abbia già revocato il coprifuoco e riaperto le frontiere. Il gesto vorrebbe indicare che la giunta di Djibo ha il pieno controllo del territorio nazionale. È il quinto golpe in cui cade vittima un Paese africano negli ultimi due anni: prima in Mauritania in agosto 2008, in Guinea alla fine dello stesso anno, successivamente è stata la volta della Guinea-Bissau a marzo 2009 e contemporaneamente del Madagascar. Ieri è toccato appunto al Niger.
La cronaca dell’accaduto ha seguito il “canovaccio classico” dei Colpi di Stato in terra d’Africa, che vede un gruppo di militari assumere il potere promettendo il ripristino della democrazia e delle libertà individuali abrogati dal governo destituito. Ed è proprio questo il caso del Niger. Ancora all’inizio di agosto 2009, il Presidente Tandja era riuscito a riformare la costituzione attraverso un referendum palesemente pilotato, affinché potesse prolungare la sua permanenza alla leadership del Paese per un terzo mandato. La decisione era stata osteggiata dal Parlamento e dalla Corte suprema nazionale. Tandja, per tutta risposta, aveva sciolto l’Assemblea Nazionale e delegittimato la massima autorità giudiziaria nazionale. Quanto è accaduto ieri quindi ha, per alcuni aspetti, i caratteri di un contro-golpe, nell’ottica di un ritorno allo statu quo precedente alla prova di forza espressa da Tandja.
A questo punto il futuro del Paese si immerge in una coltre di dubbi. È lecito chiedersi se i sostituti di Tandja siano capaci di ripristinare i diritti e le libertà che erano state soppresse, oppure se vogliano trasformare il Niger in un regime militare. Questo sarebbe una nuova fonte di criticità in una regione sempre più instabile. Siamo infatti nel cuore del Sahara, dove i confini dei Paesi dell’area – tra cui Algeria, Ciad, Libia e Mali – hanno un mero valore cartografico. Le tribù tuareg, che praticano ancora il nomadismo e che conservano un’orgogliosa tradizione di guerrieri, sono spesso tenaci avversarie dei governi locali. Sempre in questa area sono state tracciate le piste percorse dai flussi di immigrazione clandestina verso le coste del Mediterraneo. La presenza di al-Qaeda è confermata dal ripetersi di rapimenti di visitatori stranieri. Il fatto quindi che il Niger possa cadere nel vortice dell’ingovernabilità preoccupa i suoi partner locali ma anche gli osservatori occidentali. Dall’Unione Africana e dalla Francia è giunta la condanna per i fatti di ieri a Niamey. Segno, questo, che per quanto la Presidenza Tandja stesse assumendo i connotati di un regime autoritario, gli interessi internazionali avrebbero preferito la stabilità del suo governo piuttosto che la presenza di una giunta militare, che promette la restaurazione di una democrazia in un Paese in cui quest’ultima non c’è mai stata.
Infine bisogna ricordare che i negoziati aperti per la realizzazione del Transaharian Gas Pipeline (Tsgp) hanno coinvolto anche il governo di Tandja. L’obiettivo è quello di unire i giacimenti di gas in Nigeria con gli impianti di trasporto in Algeria, tra cui l’italiano Galsi. In questo modo l’Europa avrebbe accesso alle ricchezze nigeriane di idrocarburi in modo più veloce. Le stime prevedono che il progetto del Tsgp termini nel 2015 e la sua installazione cominci tre anni dopo. Il tutto per un costo di 7 miliardi di euro, finanziati da una joint venture costituita dai governi nazionali africani, quelli europei, oltre che dalle grandi multinazionali energetiche, tra cui Eni, Gazprom, Shell e Total. Una volta terminato, l’impianto potrebbe trasportare 30 miliardi di metri cubi annui di gas. Se però Niamey non fosse in grado di assicurare la sua stabilità, verrebbe messo in discussione il più remunerativo progetto energetico di tutta l’Africa.

 Pubblicato su liberal del 20 febbario 2010

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