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Posts Tagged ‘Fratelli musulmani’

Aveva 88 anni ed era malato da tempo. Il papa della Chiesa copta ortodossa, Shenouda III, è morto ieri ad Alessandria d’Egitto. Per i cristiani del Cairo e dei villaggi lungo il Nilo si tratta di un dolore ben più forte della scomparsa di un pontefice per i cattolici. Perché Shenouda era un santo vivente, oltre che un leader politico di fine spessore. In gioventù aveva indossato l’uniforme dell’esercito, combattendo perfino contro gli israeliani nel 1967. Poi aveva scelto la vita dell’isolamento e della preghiera, in uno dei monasteri che costellano il deserto egiziano. Scrigni, questi, di una spiritualità primordiale. Gli eremi copti si ritiene che siano stati costruiti esattamente lungo le tappe della Sacra Famiglia durante la sua fuga in Egitto, per scappare da Erode. E questo rende i fedeli locali carichi di un orgoglio esclusivista. «Noi abbiamo costruito l’Egitto moderno», li si sente commentare. Dal monaco eremita, all’immigrato delle pizzerie italiane, fino ai ricchi uomini d’affari del Cairo e di Alessandria. Per i copti essere copti è un onore. Nessuno tra loro oserebbe disobbedire a una messa, una preghiera, o peggio ancora a non ascoltare la voce che la sua chiesa propaga ogni giorno. Shenouda III era papa della Chiesa autocefala egiziana (copto, dal greco Aigyptios, Egitto). Erede pastorale di San Marco Evangelista, il quale portò il Cristianesimo in Nord Africa e lì fu martirizzato. Duemila anni di storia. Una tradizione ben più radicata di quella islamica. Checché se ne dica del ferreo legame tra Egitto e Corano. E poi un cammino carsico fatto di convivenza e persecuzioni. Oggi siamo alle persecuzioni. Papa Shenouda era amico di Mubarak, o meglio sapeva come trattare con il vecchio faraone. Fu del resto quest’ultimo a revocargli l’esilio al quale lo aveva condannato Sadat. Spesso le minoranze si adeguano al potere costituito, onde evitare problemi. Era così anche in Iraq per i caldei, ai tempi di Saddam. Lo stesso è per i cristiani in Siria. Allineamento con il regime e rifornimento a questo delle adeguate risorse, affinché non perseguiti i fedeli stessi e assuma una linea di parziale modernizzazione. È stato grazie a questo pontefice appena scomparso, e a Cirillo VI prima di lui, che il regime di Mubarak ha sfoggiato una classe dirigente di professionalità internazionale. Boutros Boutros-Ghali, il segretario generale dell’Onu negli anni novanta, è appunto un copto. Morto un papa se ne fa un altro. Proverbio trasteverino che si adatta al cristianesimo nilota. Sì, ma chi? Il vescovo Amba Mousa? A suo tempo è stato lui stesso a schernire qualsiasi previsione come successore, nascondendosi dietro il protocollo che prevede l’estrazione a sorte tra i monaci. Una scelta di Dio, quindi imprevedibile, che si posa sul capo del suo rappresentante in quel Paese all’ombra delle piramidi. Tutto molto suggestivo, ma forse un po’ poco pratico. Il prossimo papa copto dovrà prender per mano una comunità cristiana che, da anni, teme di essere schiacciata dall’Islam più intransigente. Per i copti i Fratelli musulmani sono il nemico da contrastare. Da qui il rifiuto nel separare le istanze moderate da quelle estremiste. Quella lasciata da Shenouda è una chiesa che denuncia persecuzioni. Tuttavia, non disdegna di imbracciare le armi. È necessario un papa politico, quindi. In grado di far sentire la propria voce nel difficile processo di normalizzazione che l’Egitto ha (forse) intrapreso. E magari di confutare i timori, nutriti dai cristiani stessi, per cui il Paese sia a un passo dallo scontro confessionale.

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di Antonio Picasso

Ora il rischio per l’Egitto è che dalla rivoluzione si scada nella guerra confessionale, tra la maggioranza musulmana della popolazione e la comunità cristiana-copta. Sarebbe un’eventualità drammatica. Tuttavia, la situazione del Paese è talmente fluida che gli spazi di manovra, per chi è interessato a fomentare le tensioni religiose, sono larghissimi.
Ieri, gli scontri nel quartiere Moqattem del Cairo hanno provocato 13 morti. Gli abitanti della zona, prevalentemente cristiani, sono scesi in piazza per manifestare contro le violenze subite nelle ultime settimane. Casus belli: l’incendio di una chiesa ad Atfih, avvenuto venerdì scorso. Da lunedì e nei giorni successivi, i copti hanno manifestato contro la Giunta militare per l’inerzia adottata in merito a questa persecuzione sotto cenere, che si sta trasformando in una sorta di stillicidio collettivo verso la loro comunità. Ieri, in contemporanea con il corteo dei cristiani, un gruppo di musulmani salafiti ha inscenato una protesta sotto i vicini uffici del governo, tirando nuovamente in ballo il caso di una giovane cristiana, sposata a un religioso copto e che sarebbe sparita dopo essersi convertita all’Islam. L’episodio era stato usato in passato anche da al-Qaeda come pretesto per effettuare le stragi contro i cristiani in Iraq. La collisione fra i manifestanti era inevitabile. Il sito egiziano al-Youm al-Sabaa ha parlato di scontri avvenuti anche in altre zone della capitale, come al-Qala e Sayda Aisha, e di una cinquantina di feriti ricoverati in sei ospedali diversi della capitale. Dalla testimonianza di Semaane Ibrahim, prete del quartiere dove si sono registrati i casi di maggiore violenza, è emerso che sui corpi delle vittime era ben visibili i segni dei proiettili. Questo significa che gli assalitori erano dotati di armi di fuoco. Probabile che ne siano venuti in possesso nel corso dei disordini durante le rivolte. Tuttavia, il mercato nero delle armi non è una novità del dopo Mubarak. Né tanto meno la rivalità musulmani-copti va vista come un bolla sociale esplosa in quest’ultimo. I copti sono vittime di violenze e discriminazioni ormai da anni. Lo stesso ex rais era stato accusato di non provvedere più alla protezione della rappresentanza cristiana. Per completezza di cronaca, va ricordato che la Chiesa copta costituisce una minoranza autocefala, presente in Egitto dall’epoca paleocristiana e oggi è composta da circa 8 milioni di fedeli (10% della popolazione totale).
A questo punto, c’è da chiedersi dove sia finito il sentimento laico che avrebbe ispirato le manifestazione di piazza Tahrir. È stato un sogno già sfumato? Questi sono i prodromi di un Egitto islamico prossimo venturo? La precarietà della situazione, non solo nel Paese ma in tutta la regione, non permette di rispondere in modo categorico. D’altra parte, non si può dimenticare che l’Egitto è il Paese in cui è nata la Fratellanza musulmana. Sempre qui, il movimento ha assunto le sfaccettare politiche più variegate: dal moderatismo di coloro che negli anni si sono impegnati per creare un Welfare state parallelo alla inefficiente pubblica amministrazione del regime, fino alle correnti più radicali, le quali promuovono l’annientamento di idee politiche e religiose non conformi con l’Islam. È vero, Mubarak è caduto grazie alla pressione di un movimento di piazza che non era ispirato dal Corano. Tuttavia, come ci si può dimenticare il coro Allah-u-ahkbar (Dio è grande) intonato dalla piazza nel momento in cui il rais è stato deposto? Possiamo davvero permetterci di ridurlo a una sorta di “ringraziamento collettivo a Dio”?
«Noi non scendiamo in piazza. Dopo quello che è successo ad Alessandria, restiamo al fianco delle nostre famiglie», diceva un nostro interlocutore copto nei giorni della rivolta. I cristiani non si fidano della rivoluzione. La scelta di Mounir Fakhry Abdel Nour, in qualità di Ministro del Turismo, dovrebbe farli recedere da una diffidenza così ingessata. Fakhry è il leader del partito el-Wafd, ma soprattutto uno degli esponenti di maggior rilievo della comunità copta. La giunta militare al Cairo sa che il comparto, con i suoi oltre 12 milioni di visitatori annui e un giro di affari di 1,3 miliardi di euro, non può essere abbandonato a se stesso. La stabilità politica dell’Egitto passa attraverso la sua ripresa economica. Questa, a sua volta, è realizzabile rimettendosi nelle mani di tycoon esperti, magari di origine cristiana. Tuttavia, è più forte il ricordo dei 21 morti del massacro di Alessandria, avvenuto la notte del 31 dicembre 2010, piuttosto che le opportunità emerse con la cacciata del faraone. «Da sabato fuori dalle nostre chiese ci sono i carri armati», ci spiegano ancora dal Cairo. «Il governo dice che sono lì per difendersi. Ma sono stati i carri armati, ieri, ad aver impedito il passaggio delle ambulanze nelle strade di Moqattem». «Senza quelli a fare da ostacolo, probabilmente i morti sarebbero stati di meno».
Va tenuto conto infine delle mosse di coloro che avversano la Chiesa copta. I movimenti radicali di ogni tipo, jihadisti o salafiti che siano, vedono nell’Egitto orfano di governo un terreno fertile dove introdurre il proprio messaggio di Guerra santa. L’instabilità del Paese è il peggior nemico della transizione. La Fratellanza musulmana, pervasa com’è dalle contraddizioni interne, non ha ancora preso le distanze dalle correnti più estremiste. Ieri pomeriggio, la Segreteria centrale del movimento ha accusato il partito dell’ex presidente Mubarak, il Partito Nazionale Democratico (Pnd) e la Sicurezza di Stato, il servizio investigativo del ministero dell’interno, di essere all’origine degli scontri a Moqattem. Questo è sufficiente per dileguare ogni sospetto da se stesso? «I Fratelli musulmani possono essere sconfitti solo alle elezioni», spiega un attivista copto che vive in Italia ormai da anni. «Per questo vogliamo che il voto per il rinnovo dell’Assemblea nazionale vengano rimandato al 2012. Non siamo ancora pronti per creare un Egitto laico».

Pubblicato su liberal del 10 marzo 2011

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