Che fine ha fatto l’Afghanistan? È straordinario come, non appena una crisi finanziaria deborda dalle piazze borsistiche e coinvolge le opinioni pubbliche nazionali, i governi riescano a spegnere i riflettori che in quel momento sono puntati su una guerra. È successo con l’Iran. Tant’è che oggi rischiamo un’escalation da impreparati. Altrettanto si accadendo per quanto riguarda l’Afghanistan. Il grande Medioriente – ci sia concesso di includere questi due Paesi in una regione non di loro effettiva appartenenza – resta in fiamme. La conferma ci viene dalla Siria. Tuttavia, sembra che l’Occidente, o megliola Nato, una volta ucciso Gheddafi, abbia scelto di prendersi una pausa di riflessione. Ha spento l’interruttore sulla geopolitica propriamente detta. E ha deciso di guardarsi allo specchio, con le proprie debolezze economiche, senza impegnarsi più del necessario per quanto riguarda queste criticità. Intendiamoci: i mercati nazionali restano prioritari. Non si può fare la guerra se la produzione è in affanno. Tuttavia, spesso le guerre non nascono dai problemi economici interni a Europa o Nord America, bensì vi si ripercuotono. E se la questione iraniana dovesse sfuggire di mano, a risentirne sarebbero i nostri bilanci già affaticati.
Il caso afghano risente anch’esso della distrazione generale in seno all’Alleanza atlantica. Tuttavia, il suo status è differente. Il piano di sgombero entro il 2014, deciso da Obama, al momento non è oggetto di discussione. Questo può suggerire che gli Usa stiano pensando di mettere alla prova il claudicante alleato di Kabul e vedere come se la cava in questa fase di interregno ufficioso. Da qui una plausibile giustificazione dello scarso attivismo politico. Non è il caso di avanzare giudizi di merito sulla modalità. Va pur ricordato che Washington ha sì dato tanto all’Afghanistan, ma ha anche una sua responsabilità nell’aver scatenato la guerra contro i talebani. Guerra giusta, non c’è dubbio. Altrettanto è l’exit strategy. Ma a questo punto, perché abbandonare la presa? Così facendo si dà adito alle voci più critiche della Nato. Vale a dire che Enduring freedom e Isaf sono stati come due fiammiferi buttati in una polveriera. Dove peraltro era già in corso un principio di incendio. È convinzione di un folto numero di osservatori che l’intervento Onu post 11 settembre 2001 abbia solo ingrandito il conflitto perpetuo dell’Afghanistan. Talibani, narcotrafficanti e tribù rivali. A questi gli eserciti occidentali non avrebbero fatto altro che aggiungervisi. Questo è il luogo comune. E se Washington perseguirà l’attuale linea della progressiva indifferenza verso Kabul, il 2014 sarà l’anno della conferma del fallimento della guerra.
Le riflessioni valgono il tempo che trovano. Un po’ meno i fatti. È di ieri, l’ok del Fondo monetario internazionale per la concessione di un prestito di 133,6 milioni di dollari per sostenere l’economia del Paese, nell’ottica del delicato periodo di transizione. Il prestito sarà triennale ed erogato in tre tranche, di cui la prima pari a 18,9 milioni di dollari. «Nei prossimi anni – spiega in una nota il direttore generale aggiunto dell’Fmi, Nemat Shafik – il ritiro della presenza militare internazionale e l’atteso calo degli aiuti internazionali rappresenteranno una sfide importante per la politica economica del Paese. Il governo di Kabul dovrà prendersi carico quindi di attività attualmente finanziate dai donatori stranieri, comprese quelle relative alla sicurezza». Mossa positiva, quella dell’Fmi, ma che conferma l’abbandono prossimo venturo da parte della Nato.
Dal Paese degli aquiloni intanto, giungono in questi giorni poche ma significative notizie. Ieri, il presidente Karzai ha convocato a Kabul una Loya Jirga per discutere della situazione politica e sulla sicurezza. Il leader pashtun ha chiamato in assemblea tutti i capi tribali alleati. Ha effettuato uno screening dei legami che vanta ancora nel tessuto sociale e ha cercato di percepire la credibilità che gli viene attribuita. Un tempo di Karzai si diceva che fosse solo il sindaco di Kabul. Oggi non gli viene attribuita nemmeno questa etichetta così riduttiva. Nel frattempo è in aumento quella percentuale di afghani che vedono con pessimismo il futuro del paese.
Premessa: da un sondaggio dell’Asia Foundation, il 35% degli intervistati che l’Afghanistan abbia imboccato lo svincolo sbagliato per uscire dallo stato di guerra. Una convinzione che, rispetto all’anno scorso, è cresciuta di ben otto punti percentuali. Inoltre delle 6.300 persone intervistate, la metà esatta sostiene di temere per la propria vita praticamente ogni giorno, una percentuale quasi doppia di quella registrata nel 2006. Fra le cause del deterioramento della situazione, la principale è l’assenza di sicurezza (45%), seguita da corruzione (16%), malgoverno (15%) e disoccupazione (13%). Infine, i quattro quinti degli intervistati hanno appoggiato la strategia di Kabul di aprire i negoziati con gli oppositori armati al fine di una loro integrazione al tavolo della pace. Comunque solo il 29% ha mostrato una aperta simpatia per gli insorti, contro il massimo del 56% toccato su questo tema nel 2009.
Facile pensare che i dati verranno fatti circolare alla Jirga e che non daranno apportato un contributo favorevole a Karzai. La beffa è già stata anticipata da un danno. Ieri, poco prima dell’apertura dell’assemblea, è stato sventato un attentato nei pressi delle sedi istituzionali della capitale. Poche ore dopo, un attentatore suicida si è fatto invece esplodere, sempre a Kabul, ferendo tre persone. Di un morti e 17 feriti, invece, è il bollettino dell’attacco nella provincia di Faryab. Qui un agente di polizia è stato ucciso a causa dell’esplosione di una bomba trasportata da un asino. I tre i casi fanno capire come l’infiltrazione talebana sia sempre più capillare. A livello logistico, nel senso che gli attentatori si avvicinano ormai con facilità anche ai bersagli più complessi. Ma anche in termini sociali. L’asino è un animale da lavoro, essenziale nella vita contadina, ma anche simbolo di benessere. Se si è disposti a sacrificare un talento così indispensabile, significa che il nemico sa come convincere i suoi adepti e i finanziatori. Teniamo conto che, in contesti simili, la vita di un animale da lavoro ha molto più valore di quella umana. E se prima il martirio veniva effettuato, volenti o no, da uomini, donne e bambini, oggi per questo si usano anche gli asini. Il fanatismo porta a mettere in discussione e investire sul proprio patrimonio. È un discorso che va oltre l’atteggiamento bellicista dei talebani. Bensì abbraccia la popolazione rurale. Al di là del consenso nelle Jirga, è urgente che Karzai si renda conto di questo progressivo avvicinamento ai talebani, da parte del sentire comune. Karzai come anchela Nato.