Le Nazioni unite temono la presenza di bambini soldato tra le fila dei ribelli che combattono contro Assad. Lo ha dichiarato Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i minorenni e i conflitti armati. La diplomatica cingalese ha comunque ammesso che si tratta di un’informazione ancora da verificare e che richiede «il recupero di ulteriori dati». Che l’opposizione al regime nascondesse un’identità dubbia già si sapeva. I soldi e le armi vengono da chissà dove. Forse dal Golfo, se non da più lontano. La sua stessa linea politica è di difficile definizione. Recentemente il patriarca melchita, Gregorio III Laham, ha detto che solo 1.500 uomini dell’esercito regolare hanno disertato e si sono uniti ai manifestanti. È vero, la comunità cristiana della Siria è da sempre una colonna del Baath. Specie la Chiesa greco cattolica. Tuttavia, è altrettanto fuori di discussione il fatto che questa guerra civile non si limiti a essere una tenzone interna tra buoni (oppositori del regime) e cattivi (Assad & Co). Sono molti gli interessi affinché il conflitto cuocia a fuoco lento magari per qualche anno. Ragione primaria è che se la Siria dovesse chiudere il suo capitolo con la rivoluzione, quest’ultima andrebbe ad abbattersi su altri governi. Magari quello giordano. Oppure ancora più a sud. Per esempio nel Golfo. Scarsa trasparenza e brutalità da ambo le parti. È questo il binomio notevole perché della Siria si continui a parlare senza raggiungere un dunque. Il che vuol dire massacri di cui è difficile identificare il responsabile e notizie ambigue. I bambini soldato danno un contributo disumano a un conflitto che non si vuole dimenticare, ma che al tempo stesso è meglio non risolvere.
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Siria: arrivano i bambini soldato
Posted in Medio Oriente, tagged Baath, bambini soldato, Gregorio III Laham, Nazioni unite, Radhika Coomaraswamy, Siria on 27 marzo 2012| Leave a Comment »
Iran: si attacca o no?
Posted in Medio Oriente, tagged Ahmadinejad, Aiea, Antonio Picasso, Ayatollah, Iran, Nazioni unite, Netanyahu, Onu, Teheran, Unione Europea, Vyacheslav Danilenko on 15 novembre 2011| Leave a Comment »
Ieri i ministri degli esteri dei Paesi membri dell’Unione europea si sono riuniti per capire quale sarebbe l’atteggiamento da adottare nei confronti dell’Iran. La settimana scorsa, l’Aiea ha pubblicato il suo ultimo rapporto, in cui si legge che la corsa al nucleare da parte del regime di Teheran si è fatta ancora più serrata.
Nel prosieguo della crisi finanziaria globale, le ambizioni bellicistiche, o comunque aggressive, dell’Iran suonano come uno strumento scordato che nessuno sa gestire. E soprattutto nessuno ha intenzione di impegnarvisi. «I ministri europei discuteranno di quello che è necessario per mostrare a Teheran che questa linea è totalmente inaccettabile», ha indicato Catherine Ashton, responsabile della diplomazia Ue prima del vertice. «Dobbiamo prepararci a rafforzare le sanzioni per evitare ogni intervento irreparabile», ha precisato il ministro degli Esteri francese Alain Juppé. Bruxelles praticamente si trova costretta ad adottare nuove sanzioni. Sulla scia del medesimo atteggiamento da parte degli Stati Uniti. In realtà, per entrambe le cancellerie, l’attenzione è concentrata altrove. Sulla crisi appunto.
C’è poi l’ostacolo Onu. Nel Consiglio di sicurezza, Russia e Cina rappresentano ancora un bastione contrario a qualsiasi misura punitiva, sebbene pacifica, nei confronti degli ayatollah. Non si esclude quindi che le due sponde dell’Atlantico adottino scelte autonome rispetto alla linea della comunità internazionale. La mossa darebbe i suoi frutti sul terreno iraniano, ma sarebbe una potenziale fonte di attrito nei rapporti con Mosca e Pechino.
Del resto, già tra i paesi Ue si avvertono divergenze. L’ipotesi sanzioni è vista da alcuni come l’unica soluzione. Per altri è solo l’anticamera dello scontro diretto. Un attacco agli impianti nucleari iraniani non è infatti esclusiva di Israele. Negli ultimi mesi, la stampa anglosassone si è sbizzarrita nel fare un prospetto delle pressioni pro raid in Gran Bretagna e negli Usa. Più morbidi, invece, i diplomatici continentali. «Riteniamo che queste discussioni siano controproducenti», ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, respingendo a priori l’opzione. Cosa che appunto non vuole fare Londra. «Tutte le possibilità devono restare aperte», ha detto il capo della diplomazia britannica, William Hague.
Contro l’Iran sono state adottate, già in sede Nazioni Unite, quattro serie di sanzioni, tutte di natura economica e finanziaria. I provvedimenti che Bruxelles vorrebbe realizzare andrebbero a colpire le esportazioni di petrolio ela Bancacentrale iraniana. In ogni caso, la nostra stessa economia ne subirebbe negativamente.
Va ricordato che la scelta delle sanzioni ha riscosso storicamente scarsi risultati. Almeno nella maggior parte dei casi. Si pensi all’Iraq di Saddam Hussein. Nella fattispecie iraniana, l’economia nazionale sta consumando gli ultimi strati di grasso di riserva, accumulati grazie ai proventi petroliferi. Nel 2010, la crescita produttiva è risultata ancora dell’1% circa. Il Paese è uno Stato canaglia, ma per i mercati resta un partner dalle risorse ancora appetibili. Cosa accadrà una volta emarginato il regime? L’opinione pubblica tenterà una seconda Onda verde, additando Khamenei e Ahmadinejad come i responsabili dell’isolamento internazionale, oppure si stringerà a coorte intorno ai suoi leader? In tal caso, la carta militare tornerebbe ancora più controproducente.
A questo proposito, negli ultimi dieci giorni, su Washington sono soffiati nuovi venti di guerra. Correnti provocatorie e di speculazione che, però, sono scemate con la pubblicazione del rapporto dell’agenzie Onu. È vero il senso di questo è risultato più allarmistico rispetto ai documenti precedente. Ma è altrettanto importante notare che, oggi come oggi, nessuna economia occidentale sarebbe in grado di accollarsi un’operazione militare dal futuro tanto incerto. A questo proposito, gli analisti storcono il naso sulla fattibilità di un’incursione hit and run, vittoriosa e senza strascichi. Opzione da sempre caldeggiata da Israele e, che se dovesse concretizzarsi, potrebbe essere gestita proprio da questa. Ma chi assicura Netanyahu che Teheran subirebbe il colpo abbozzando e no reagendo?
Un accordo distonico rispetto al trend pro attacco l’ha suonato venerdì scorso il responsabile del Pentagono, Leon Panetta, il quale ha detto che un raid aereo non risolverebbe il problema. Panetta ha diretto fino a pochi mesi fala Cia.È plausibile che abbia un quadro dello scenario abbastanza da chiaro da permettergli di gettare acqua sul fuoco. Quella dell’altro giorno è stata una puntura a una bolla speculativa. Dopo tanto nervosismo montato improvvisamente, Washington ha detto la sua. A discapito degli interessi e delle speranze di Israele. Evidentemente sono ancora gli Usa ad avere l’ultima voce in capitolo.
Nel frattempo, non è stata fatta ancora chiarezza sul ruolo di Vyacheslav Danilenko, fisico nucleare russo, di scuola sovietica e che avrebbe fornito la propria consulenza al regime sciita. Il nome di Danilenko è venuta a galla quando proprio in coincidenza con la pubblicazione del rapporto Aiea. Nel dossier cui si parla di un “esperto straniero” convocato a Teheran. «Non sono il padre del programma nucleare iraniano», si è limitato a commentare il diretto interessato. Stando al Washington Post però, l’ingegnere non avrebbe ancora chiarito quali siano i motivi della sua collaborazione con gli ayatollah. Ai tempi dell’Urss, Danilenko operava nel centro di Chelyabinsk-70, dove si lavorava a testate nucleari di piccole dimensioni, da applicare a missili, bombe convenzionali o razzi e a detonatori altrettanto piccoli ma in grado di far esplodere la testata. Con il crollo dell’Unione sovietica, Danilenko si è riposizionato sul mercato per scopi esclusivamente lucrativi. In tal senso, fatta eccezione di Pakistan e Corea del Nord, il cerchio di ricerca di restringe.
Resta infine fluida la posizione della Lega araba, in cui è la crisi siriana a far padrona. L’eventualità che il regime di Damasco venga sospeso, a seguito delle repressioni effettuate e delle riforme promesse ma non mantenute, rappresenta uno svantaggio anche per gli ayatollah. Caduto Assad, tutta la cosiddetta rivalsa sciita verrebbe azzoppata. È impensabile però che l’Iran raccolga una qualsivoglia simpatia in seno a una Lega dominata da sauditi, giordani ed egiziani. Vale a dire i migliori alleati degli Usa nella regione. Forse per Teheran l’ipotesi di attacco si allontana. Per quanto non venga fugato. Certamente, si avvicinano ulteriori difficoltà economiche.