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Posts Tagged ‘Baath’

Le Nazioni unite temono la presenza di bambini soldato tra le fila dei ribelli che combattono contro Assad. Lo ha dichiarato Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i minorenni e i conflitti armati. La diplomatica cingalese ha comunque ammesso che si tratta di un’informazione ancora da verificare e che richiede «il recupero di ulteriori dati». Che l’opposizione al regime nascondesse un’identità dubbia già si sapeva. I soldi e le armi vengono da chissà dove. Forse dal Golfo, se non da più lontano. La sua stessa linea politica è di difficile definizione. Recentemente il patriarca melchita, Gregorio III Laham, ha detto che solo 1.500 uomini dell’esercito regolare hanno disertato e si sono uniti ai manifestanti. È vero, la comunità cristiana della Siria è da sempre una colonna del Baath. Specie la Chiesa greco cattolica. Tuttavia, è altrettanto fuori di discussione il fatto che questa guerra civile non si limiti a essere una tenzone interna tra buoni (oppositori del regime) e cattivi (Assad & Co). Sono molti gli interessi affinché il conflitto cuocia a fuoco lento magari per qualche anno. Ragione primaria è che se la Siria dovesse chiudere il suo capitolo con la rivoluzione, quest’ultima andrebbe ad abbattersi su altri governi. Magari quello giordano. Oppure ancora più a sud. Per esempio nel Golfo. Scarsa trasparenza e brutalità da ambo le parti. È questo il binomio notevole perché della Siria si continui a parlare senza raggiungere un dunque. Il che vuol dire massacri di cui è difficile identificare il responsabile e notizie ambigue. I bambini soldato danno un contributo disumano a un conflitto che non si vuole dimenticare, ma che al tempo stesso è meglio non risolvere.

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Cosa serve al presidente siriano, Bashar el-Assad, per restare al potere? Il placet di Israele. Allora perchè non abbandonare la chimera di riottenere le Alture del Golan? Sarebbe un scampio più che equo. Il regime resterebbe in sella e verrebbe archiviato uno dei più lunghi contenziosi che la storia del Medioriente ricordi. Certo, per il Baath ci sarebbero poi da sistemare i rapporti con Iran e Hezbollah. Otre a dover convincere la pubblica pubblica piazza che sia meglio Assad, con il suo anancronistico status quo, piuttosto che qualsiasi altro governo, magari con devianze islamiste. Tuttavia, in Medioriente, quando è Israele a dare l’ok, i problemi si aggiustano molto più facilmente.

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    di Antonio Picasso

Il governo siriano presieduto da Mohamed Naji el-Utri si è dimesso ieri, dopo otto anni di potere e in seguito alle pressioni della folla. Il capo dello Stato, Bashar el-Assad, ha accettato le dimissioni e ha subito nominato un primo ministro ad interim. Si tratta di Mohamed Naji el-Utri. Vale a dire dello stesso premier uscente. C’è un meccanismo perverso che regola le dinamiche politiche dei Paesi mediorientali. Gli oltre 150 morti della scorsa settimana, nelle città di tutta la Siria, ma soprattutto l’ondata rivoluzionaria che sta colpendo l’intera regione sembrano non essere sufficienti per convincere i leader locali della necessità di effettuare riforme strutturali e dell’intera classe dirigente. Se il regime della famiglia Assad vuole sopravvivere, è necessario compiere un radicale cambiamento di rotta, senza ricorrere a placebi, ormai irricevibili da parte della società civile. La mossa di Assad è molto simile a quella compiuta dal re di Giordania. Abdallah II, due mesi fa, per evitare il propagarsi della rivolta anche nel proprio Paese, ha liquidato l’intero governo di Samir Rifai, sostituendolo con una nuova compagine guidata da // Marouf al-Bakhit. Entrambi i personaggi fanno parte di quell’establishment – riciclato e corrotto – di cui la piazza non vuol più sentire parlare. Assad ha commesso lo stesso errore. El-Utri è un uomo al servizio del Baath da quasi trent’anni. Perché continuare a mischiare lo stesso elenco di nomi, come se fosse un mazzo, non accorgendosi che la società civile è ormai conscia del trucco?

Una spiegazione è stata fornita proprio da un outsider del clan Assad. Intervistato ieri da El Pais, Ribal el-Assad, cugino del rais, ha dichiarato che quest’ultimo è legato al vecchio sistema dittatoriale imposto dal padre, Hafez, e che mai nessuno ha osato mettere in discussione. «Già quando arrivò al potere, dieci anni fa, Bashar promise una stagione di riforme, ma persone del suo entourage non gliel’hanno permesso». Ha affermato. «Il margine di manovra del rais è limitato dalla presenza di  una vecchia guardia perfettamente integrata nel sistema». «A questa gerontocrazia si sono uniti altri personaggi, decisamente nuovi, come Rami Makhlouf», (cugino materno del presidente, oltre che munifico benefattore del regime, ndr).

Ribal è un giovane businessman in esilio a Londra, fondatore dell’“Organization for democracy and freedom in Syria”, nonché dell’“Arab news network”, canale satellitare che dalla capitale britannica. Nato in Siria 35 anni fa, ma vissuto prevalentemente all’estero, Ribal fa parte della dissidenza di seconda generazione, contraria al regime, ma appartenente alla stessa famiglia presidenziale. La sua denuncia quindi ha un peso specifico anomalo. Da un lato, può apparire come il frutto della visione di chi vive da troppo tempo lontano dal proprio Paese. La Siria, effettivamente, è cambiata sensibilmente con la morte di Hafez e in questi undici anni di potere di Bashar. Dall’altra, proprio perché membro del clan, Ribal el-Assad potrebbe disporre di quelle informazioni sottobanco che gli permettono di tracciare un simile scenario.

Non è una novità, infatti, che il regime siriano sia caratterizzato da ciclici intrighi di palazzo. Sorprendente è, piuttosto, come la famiglia Assad sia sempre riuscita a superare i tentativi di detronizzazione. Già nel anni Novanta il fratello di Hafez, Rifaat tentò un golpe. Il fallimento fu la causa del suo esilio.

L’ascesa al potere di Bashar, nel 2000, ha spaccato in due la famiglia. Il primo gruppo, con al vertice lo stesso rais, è ispirato da una visione riformista della gestione politica del Paese. Il presidente, spinto soprattutto dalla moglie, Asma Fawaz al-Akhras, è riuscito nell’operazione di emancipazione del Paese dall’isolamento diplomatico al quale era stato condannato per volontà degli Stati Uniti di George Bush. Il regime, infatti, era sospettato di sostenere il terrorismo internazionale. Tuttavia, il successo di Bashar el-Assad si è limitato a questo passaggio. Il rinnovamento delle istituzioni e della classe dirigente non gli è stato concesso proprio per la presenza del secondo nucleo di potere. Questo ruota intorno alla madre del presidente, Anisa Makhlouf, e alla sorella, Bushra. Due donne legatissime ai servizi di intelligence e imparentate con i pochi milionari del Paese. Entrambe sono convinte della necessità di mantenere una linea di rigido autoritarismo nei confronti delle opposizioni. Si tratta di un tentativo di autoconservazione della famiglia Assad, dovuto principalmente alla propria appartenenza alla minoranza degli alawiti, comunità scismatica in seno all’Islam sciita. In ogni contesto sociale, chi detiene il potere – pur facendo parte di un gruppo minoritario – cerca di muoversi con la maggiore cautela possibile, onde evitare che un qualsiasi squilibrio metta in discussione la sovranità detenuta. Da qui l’influenza che l’ala più autoritaria del regime ha sul presidente. Da qui pure la scelta di cambiare il governo senza smuovere però il sistema. L’obiettivo è sopravvivere. A qualunque condizione. Il presidente siriano è oggi atteso in televisione. Si prevede che sarà questo il senso del suo discorso.

pubblicato su Liberal del 30 marzo 2011

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